1° Cap. Psicosomatica

 

 

 

   

CHE COSA E’ LA

  

MEDICINA PSICOSOMATICA

  

Paola Santagostino

Edizioni Urra Apogeo

 

 

 

INDICE DEL LIBRO

 

  • Introduzione
  • Che co’è la medicina psicosomatica?
  • Medicina e psicosomatica
  • Psicoanalisi e psicosomatica
  • Georg Groddeck
  • Franz Alexander
  • Wilhelm Reich
  • Medard Boss
  • Weitzsacher, Chiozza, Lowen
  • Conclusioni
  • Bibliografia

   

PRIMO CAPITOLO   www.ilgiardinodeilibri.it

  

Ero una adolescente quando ho avuto la prima di una lunga serie di malattie polmonari. Erano tra le malattie più ‘organiche’ che si possano immaginare, quasi quanto una frattura ad un braccio!  

Ognuna di esse voleva dire settimane e settimane immobile a letto. Dopo pochi giorni io non sentivo più alcun dolore, quindi starmene immobile a letto, potendo fare poco o nulla se non leggere era di una noia mortale…  Analisi su analisi mediche per capirne la causa: i miei polmoni in sé non avevano proprio niente di anormale, erano come quelli di tutti gli altri. Non c’era una cura: succedeva all’improvviso, potevo solo starmene a letto ferma, il polmone guariva da solo e alla fine tornava sano come prima. Non rimaneva neppure traccia dell’accaduto: come se non fosse successo nulla. Ma visto che poteva sempre succedere ancora…  da un momento all’altro senza preavviso… e a me era successo proprio tante volte… le ‘prescrizioni’ che mi erano state date ai tempi erano piuttosto tragiche per me: non avrei potuto  fare una vita normale, niente sforzi, niente sport, niente viaggi, meglio non lavorare, condurre una vita tranquilla e ritirata e vedere di vivere nei pressi di un ospedale se possibile, non si poteva mai sapere… Insomma la prospettiva di una vita da ‘pensionato malridotto’ per una ragazzina che a vivere non aveva ancora incominciato… che scalpitava dalla voglia di scoprire, di provare,  di conoscere il grande mondo circostante di cui non sapeva nulla.  

  

PERCHE’ LA MALATTIA?  

 La domanda che ritornava nella mia testa come un ritornello in quei lunghi giorni di letto era: “Perché mi sono ammalata?”. Perché i miei polmoni, che erano sani come quelli di tutti gli altri, si rompevano ogni due per tre? Perché proprio i miei? Perché succedeva proprio a me? A questa domanda i medici non avevano risposta: i miei polmoni non avevano delle anomalie congenite, non c’erano dei processi infiammatori né in corso né precedenti, io non avevo fatto degli sforzi respiratori… mi era capitato persino dormendo. Mi è stato spiegato benissimo ‘che cosa’ succedeva ai miei polmoni, ma del ‘perché’ non si sapeva nulla.  

  

QUANDO UN LIBRO TI CAMBIA LA VITA…  

Dati i lunghi tempi da passare a letto, parenti ed amici gentili mi  mandavano libri… Io non so ancora adesso chi devo ringraziare per avermi fatto capitare tra le mani un libro di Groddeck! Chiunque sia stato  Dio lo benedica ed  ha la mia gratitudine eterna. Potete immaginare l’effetto su di una ragazzina che è lì tutto il giorno a chiedersi: “Ma perché sono qui ammalata?” il  leggere di un misterioso ‘Es’,  una saggia forza della natura, la forza che guida la vita stessa e che produce la malattia come la guarigione e lo fa sempre per un fine ‘buono’? Chiunque fosse questo Es, e io a quell’età di psicoanalisi ne sapevo quanto una capra, volevo sapere perché mi faceva ammalare!!! Al momento non ci vedevo proprio niente di ‘buono’, ma certo quella teoria mi dava molte più speranze dei ‘non si sa’ dei medici… E mi offriva almeno una traccia su cui  riflettere: “Che cosa voleva il mio Es? Dove voleva andare a parare con quelle malattie? ”  

Vista con gli occhi di adesso quella mia prima lettura di Groddeck mi risulta piuttosto comica. Una diciassettenne digiuna di ogni nozione di Freud, che si legge di complicate rimozioni di simbolismi sessuali e che spesso pensa: “ Ma che cosa cavolo sta dicendo questo?” e  prosegue, è proprio buffa. Ma una forte motivazione personale fa miracoli, fa superare la noia di quel che non si capisce, fa porsi domande, fa cercare risposte… Risposte per tentativi, risposte grezze come possono esserlo a quell’età. Fa elaborare mille ipotesi, qualcuna strampalata, qualcuna un po’ meno…  

  

LE COINCIDENZE  

Ho avuto soprattutto una fortuna: proprio perché ero una ragazzina tenevo un diario, un po’ in codice perché la mamma non lo leggesse, ma pur sempre un diario… e con le date! E sulle lastre delle radiografie dei miei poveri polmoni malati le date erano stampate ben chiare e precise. E così con ‘mia’ grande sorpresa ho potuto scoprire delle coincidenze. Proprio quel giorno in cui (diario)… paf!… il mio polmone si era inspiegabilmente rotto (lastra).Il fatto più incredibile è che erano delle ‘coincidenze’ grandi come case!!! Questo è importante, perché credo che capiti a tutti noi: quando siamo ‘noi’ i protagonisti, quando siamo ‘noi’ nell’occhio del ciclone, non vediamo dei nessi che da fuori anche un orbo coglierebbe.  

Io ho avuto la fortuna di potermi vedere quelle date sotto agli occhi. E così  ho potuto fare delle ‘ipotesi’… e le mie ipotesi si sono fatte via via più precise… ‘Ipotesi’… Io non ho avuto una illuminazione improvvisa, non sono caduta da cavallo sulla via di Damasco! Ho iniziato ad elaborare delle ‘possibilità’: ‘forse’ quando mi trovavo in una certa situazione emotiva i miei polmoni si rompevano…‘forse’!  

Devo dire che tutto questo è avvenuto nel più totale isolamento: io ero molto giovane ed ‘ignara’: di medicina, di psicologia o di psicoanalisi non sapevo proprio nulla; il mio ambiente familiare era portato a tutto fuorché a considerare delle ‘teorie psicologiche sulla malattia’; ai tempi la Medicina Psicosomatica era molto molto lontana da me ( il povero Groddeck era già morto da un pezzo e di altri non sapevo neppure l’esistenza. ). Quindi quello che sto descrivendo qui è un processo del tutto personale, giovanilmente ‘acerbo’, fatto di ipotesi e di verifiche, di prove ed errori, di tentativi silenziosi… Mi ci sono voluti un bel po’ di anni ( e di malattie polmonari) per trovare la risposta che cercavo.  

  

IPOTESI E TENTATIVI  

Sta di fatto che dalla lettura di Groddeck in poi almeno qualche cosa ho potuto fare! Almeno ho potuto cercare di capire con una qualche traccia ‘perché’ mi ammalavo, ho potuto cercare delle ‘somiglianze’ di stato emotivo, avanzare delle ipotesi, fare dei tentativi… per esempio cercare di evitare di mettermi in quelle situazioni emotive che secondo me potevano essere pericolose per i miei polmoni… se ci riuscivo… cercare di togliermene… se potevo… cercare di gestirle in modi diversi…  

Ma soprattutto ho trovato subito un trucchetto personale che funzionava a meraviglia nel momento d’emergenza. Stando attenta riuscivo a percepire dentro di me una specie di ‘sensazione precedente’, uno stato d’animo che aumentava via via e che, ‘se’ le mie osservazioni erano giuste, era proprio quello che poi portava allo scoppio improvviso della malattia…  Allora appena lo sentivo, e  mi sentivo ‘a rischio immediato’, facevo subito una specie di gara con il tempo: cercavo di pensare in gran fretta a tante cose belle ed interessanti che avrei potuto fare solo da  in piedi e non da a letto ammalata. Tutto questo può sembrare un po’ sciocco, ma ripensando a quella ragazzina spaventata, che doveva inventarsi strategie da sola e di queste cose non aveva con chi parlare, adesso mi sembra molto creativo e mi fa anche tanta tenerezza.  

Sta di fatto che a dispetto delle tragiche previsioni mediche io invece  facevo una vita del tutto normale, anzi decisamente ‘vivace’ e i miei polmoni stavano benissimo. Niente più malattie. Tanto che pian piano ho cominciato a dimenticarmi dell’intera faccenda, i miei disturbi polmonari mi sembravano acqua passata, chi ci pensava più, e non stavo più attenta neanche a cogliere quelle sensazioni emotive ‘precedenti’.  

  

I CAMPANELLI D’ALLARME  

Così dopo c’è stata quella che io chiamo ‘la fase dei campanellini’. Come dicevo ormai non pensavo più ai miei disturbi polmonari, ma neanche agli annessi e connessi emotivi che avevo scoperto… quando tutto ad un tratto ecco il ‘dolorino’! ‘Il dolorino’ ai polmoni aveva sempre segnalato l’esplosione ormai avvenuta delle mie malattie. In me non era mai stato forte ( checché ci sia scritto nei testi di medicina), anzi, talmente leggero che la prima volta me l’ero tenuto senza badarci proprio, finché avevo incominciato a non respirare più! Solo dopo aver saputo che cosa significava quel dolorino ai polmoni… era diventato sufficiente il sentirlo per farmi telefonare al medico, che chiamava un’ambulanza e mi faceva fare una radiografia al volo, ma  ormai la frittata era sempre già fatta ed incominciava il mese di letto.  

Nel periodo che io chiamo ‘dei campanellini’, in una situazione secondo me qualunque, sentivo il fatidico dolorino a un polmone. Ovviamente diventavo bianca dalla paura, mi paralizzavo e facevo subito un rapidissimo ‘check-up emotivo’: mi ero cacciata di nuovo in quella situazione emotiva? Accidenti sì! Per prima cosa mettevo in atto  la vecchia tattica d’emergenza: mi facevo venire in mente mille cose belle che potevo fare da sana. Aspettavo un attimo a chiamare il medico ed andare al pronto soccorso a fare la lastra, certo intanto stavo ben ferma e zitta per non peggiorare le cose in caso… Il ‘dolorino’ era assolutamente identico, indistinguibile dai precedenti, ma adesso non veniva seguito a distanza di poche ore dalla impossibilità di respirare, non era il segno della frittata già fatta. In qualche giorno spariva, ma io intanto avevo preso fifa abbastanza da cercare di rimettere a posto anche la situazione emotiva più in generale, ringraziando sentitamente il ‘campanellino d’allarme’ che mi aveva dato una sana svegliata senza nessun danno grave.  

  

UNA DIVERSA ATTENZIONE    

A quei tempi di tutte queste mie esperienze personali mai e poi mai ho pensato di farne qualcosa di lavorativo. Anzi, non ne parlavo affatto! Le mie ‘ipotesi’ psicologiche su una malattia così completamente ‘organica’ sarebbero suonate allora non credibili e io non avevo nessuna intenzione di farmi prender per matta, oltretutto io non ero Groddeck e neanche un medico, ma solo una figlioletta e quindi molto meglio tener la bocca chiusa.  

Quello che però quelle esperienze mi hanno dato fin da subito è stata un’ attenzione molto diversa con cui guardavo agli altri intorno a me che si ammalavano o che guarivano. Mi veniva spontaneo. Notavo che sì, certo le medicine facevano guarire… ma come mai queste medicine certe volte funzionavano subito, certe volte non funzionavano proprio per niente,  magari per un sacco di tempo, e poi altre volte si mettevano a funzionare tutto d’un colpo, quando ormai non ci contava più nessuno. E  guardando con un occhio più attento anche ‘la gente’ non si ammalava poi proprio proprio così ‘per caso’ … ed era curioso anche il ‘momento’ in cui guariva! Per anni ed anni ho fatto tante osservazioni silenziose, che mi sono tenuta per me.  

 Un bel po’ più tardi ho scoperto che tutte quelle mie osservazioni ed ipotesi non erano poi così strampalate e che le avevano fatte anche mille altri ben più qualificati, che la Medicina Psicosomatica esisteva da un pezzo come una realtà scientifica, che persino il caro vecchio Groddeck non l’avevo letto solo io e non era stata una voce solitaria che si era persa nel deserto. Avrei potuto addirittura occuparmi di ‘psicosomatica’ come professione.  

  

IL SENSO DELLA MIA PROFESSIONE  

E qui vorrei dire il senso che io ho sempre dato e do, al mio lavoro. Quelle ‘coincidenze’ tra le mie malattie e quello che mi stava succedendo in tutt’altri campi: emotivo e relazionale, che io ho potuto notare solo per un gran colpo di fortuna, sarebbero state davvero evidenti a ‘qualcuno fuori’ e addirittura  evidentissime a qualcuno ‘allenato’ a coglierle. Il farmele notare, mi avrebbe di molto facilitato il vederne più in fretta il senso, invece di andare a tastoni come sono andata, mi avrebbe sveltito di molto  il processo di capire che cosa mi stava succedendo e che cosa ci potevo fare. Mi avrebbe risparmiato un bel po’ di anni di dolori e di malattie.  

 Non che io mi lamenti di come mi è andata, anzi!!! Se non mi capitava in mano quel libro o non mi cadeva l’occhio sulle date delle lastre e dei diari, potevo essere ancora là adesso… magari avrei fatto davvero la vita del malconcio pensionato! Senza quelle mie malattie non mi sarei mai interessata alla Medicina Psicosomatica, non sarei mai arrivata ad una professione che non ha mai smesso di affascinarmi, non avrei mai avuto una esperienza personale su cui basarmi. Cavarmela da sola da ragazzina è stato inevitabile per quell’ epoca e poi proprio da ‘sola’ non sono stata: il libro è piovuto dal cielo esattamente quando serviva e quando ero in grado di leggerlo, quando ero in grado di fare delle connessioni, quando avevo una delle poche malattie che costringe a letto senza dolori e con tanto di quel tempo per pensarci su… Il cielo aiuta: buona sorte, destino, forse era scritto che andasse così, forse mi è solo andata bene!  

Certo che non c’è bisogno che tutti ri-inventino da capo la ruota… Il senso che io do al mio lavoro è di essere quella persona ‘fuori’ che vede quelle ‘coincidenze’ che permettono di capire il significato della malattia, coincidenze che chi ci è dentro invece fatica a vedere o non vede affatto. Mi sono anche allenata a farlo, quindi posso, se è dato, ‘sveltire’ un processo di comprensione e di guarigione.  

  

IL CORPO COME AMICO  

Ma c’è un’ altra cosa importante che vorrei dire. Quando ero ammalata io, certo allora sentivo ‘il mio corpo come un nemico’. ‘Io’ volevo fare delle cose, io avevo i miei progetti, i miei desideri, i miei programmi, ed ecco che proprio sul più bello quel dannato corpo mi rovinava tutto, mi sbatteva a letto immobile e addio programmi… Sembrava che facesse apposta a rompermi le uova nel paniere! Sembravamo due volontà diverse: la mia e quella del mio corpo. E visto che si trattava di una malattia  certo la volontà del mio corpo non mi sembrava proprio  per niente una volontà ‘benefica’!!!! Mi scocciava anche che fosse così tanto più potente di me: io impiegavo dei mesi per fare dei progetti intelligenti e lui impiegava due secondi a buttarmeli all’aria. C’è qualcuno di più autoritario di uno che ti sbatte a letto immobile quando vuole? Ero una adolescente ribelle come tante, ma neanche un genitore pazzo ti lega a letto senza neanche dirti il perché! Anche l’ idea del mio amato Groddeck che l’Es fosse una forza benevola,  che non aveva alcuna cattiva intenzione… anzi che aveva sempre e solo l’intento di ‘proteggere’… a me allora sembrava ben poco sensata, anche se era quella che mi dava maggiori speranze… Oggi a tanti anni di distanza posso dire di cuore che quelle malattie erano ‘benevole’ davvero e quanto! ‘Provvidenziali’. E non certo perché hanno finito per darmi una professione che amo: anche se avessi fatto tutt’altro nella vita, mi stavano davvero proteggendo e salvando come la più premurosa delle forze.  

Non ho mai più sentito il mio corpo come un nemico. Certo mi scoccio come chiunque altro quando mi fa male, anzi di più perché la prendo anche come un’ ‘offesa professionale’. Ma in tutti questi anni, osservando non più solo me, ma anche centinaia di pazienti, ho sviluppato una fiducia ed un rispetto, anzi chiamiamola pure con il suo nome una ‘ammirazione’, per l’ intelligenza, la capacità e soprattutto l’infinita ‘saggezza del corpo’, così ‘saggia’ e lungimirante che tante volte è proprio la nostra mente che non arriva a capirla.  

Questa è una cosa che credo valga la pena di dire in un’epoca che non ha nessun dubbio nel definire senz’altro come ‘male’ la malattia e che prende per scontata la via del ‘combatterla’ ad ogni costo. Con questo non sto facendo un improprio ed ottuso attacco alla medicina: è ovvio che la medicina è stata creata dall’uomo per curare le malattie, anche il corpo è strutturato per guarirle molto più che per produrle! Ma proporrei più riflessione sul fatto che quando il corpo produce malattie, anche queste hanno un loro senso, un senso che vale la pena di  capire, esattamente per facilitarne la guarigione.  

 

COME LEGGERE QUESTOLIBRO  

Questo libro può essere letto a vari livelli. Chi si interessa specificamente di Medicina Psicosomatica è certamente già familiare con i contenuti e con gli autori e può trovarci un riassunto utile in quanto conciso. Chi si avvicina per la prima volta alla Medicina Psicosomatica può cominciare ad avere una idea generale di che cosa si  tratta, di come è sorta, di chi sono stati i suoi pionieri e del pensiero di alcuni grandi autori: un primo quadro d’insieme che poi potrà approfondire come crede e con dei riferimenti bibliografici.   

Ma a me in fondo interessa di più ciò che può trarre da questo libro una persona comune, che è ammalata in questo momento o che come noi tutti lo è stata qualche volta o che lo sarà pure un giorno o l’altro in vita sua… A questo tipo di lettore dico: non è importante capire i dettagli, le sottigliezze o i termini più tecnici, saltate i pezzi che vi annoiano o vi risultano troppo ostici. Ciò che di meglio può darvi questo libro è l’indicazione che la malattia non è solo una disgrazia che vi tocca subire e basta, è anche un messaggio che il vostro corpo vi sta mandando ed un messaggio che può dirvi molte cose utili.  

La malattia non è lì ‘per farvi del male’! E’ lì per dire che un dolore in voi c’è e c’era già prima che la malattia esplodesse,  magari proprio ascoltando che cosa ha da dire potete guarire. Non è gradevole ricevere un messaggio tramite il dolore, ma forse il vostro corpo aveva già provato   prima  a mandarvi dei messaggi più sommessamente ed era rimasto inascoltato… adesso sta suonando le campane!  

Una campana che suona rumorosamente dà fastidio, ma annuncia anche qualcosa e spesso qualcosa di importante. La ‘vostra’ malattia non è una campana che suona da fuori, sta suonando da dentro di voi, è soprattutto a voi che sta cercando di dire qualcosa…  

 In questo senso da questo libro potete trarre innanzitutto degli  spunti di riflessione: Groddeck parla di un inconscio che ‘protegge’, ma  che a volte resta attaccato a dei vecchi divieti non più necessari, Alexander di un impulso ad aggredire o a chiedere aiuto troppo a lungo represso, Reich e Lowen di una corazza del corpo e della mente costruita per difendersi, ma che ormai impedisce anche di esprimere i sentimenti e finisce per danneggiarvi…  

Spunti, spunti di riflessione che ognuno può applicare a se stesso per chiedersi : ma perché sono ammalato? e forse trovare la sua risposta.   

Paola Santagostino 
 

Tratto dal libro ”  Che cos’è la Medicina Psicosomatica” Edizioni Urra Apogeo http://www.urraonline.com/libri/9788850323814/scheda 
 
Dott.ssa Paola Santagostino: Psicologa e Psicoterapeuta specializzata in Medicina psicosomatica opera a Milano con sedute individuali di terapia e di consulenza e conduce Corsi in tutta Italia. 
 
Per contattare l’autrice  contatto@paolasantagostino.it   02.6555635
 
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